Sentenza n. 193 del 1991

 

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SENTENZA N. 193

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 24 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638 promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1990 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dall'Amministrazione provinciale di Milano contro l'I.N.P.S. iscritta al n. 4 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di costituzione dell'Amministrazione provinciale di Milano, dell'I.N.P.S., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

Uditi gli avvocati Valerio Onida per l'Amministrazione provinciale di Milano, Carlo De Angelis e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel giudizio sul ricorso promosso dall'Amministrazione provinciale di Milano contro la sentenza del Tribunale di Milano 18 giugno 1988 che, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato l'obbligo della ricorrente di pagare all'I.N.P.S. i contributi di malattia e Gescal sull'indennità integrativa speciale corrisposta ai propri dipendenti dal 1° marzo 1978 all'11 settembre 1983, la Corte di cassazione, con ordinanza del 26 gennaio 1990, pervenuta alla Corte costituzionale l'8 gennaio 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, "interpretato come norma dotata di efficacia retroattiva, per contrasto con gli artt. 81, quarto comma, 5, 97, 119 e 128, nonché 3 e 53 della Costituzione".

La norma impugnata dispone che l'inclusione dell'indennità integrativa speciale nella retribuzione imponibile ai fini della contribuzione per l'assistenza sanitaria, prevista dall'art. 4 della legge 6 dicembre 1971, n. 1053, con riferimento agli enti di previdenza e assistenza per i dipendenti statali e per i dipendenti da enti di diritto pubblico, è da intendersi riferita a tutti i dipendenti pubblici cui venga corrisposta la medesima indennità, e quindi anche ai dipendenti degli enti pubblici territoriali.

Ad avviso del giudice remittente, tale disposizione è munita di efficacia retroattiva non in ragione di una pretesa natura interpretativa, "ma piuttosto perché la sua formulazione in termini di norma interpretativa rileva quale espressione di una scelta, da parte del legislatore, di una determinata tecnica, tra quelle a sua disposizione, per attribuire efficacia retroattiva alla legge che emana".

Così interpretata, la norma denunciata è ritenuta contrastante anzitutto con l'art. 81, quarto comma, Cost. perché l'obbligazione contributiva di cui è causa, riferita a esercizi finanziari anteriori al 1983, si traduce nell'imposizione di maggiori spese agli enti interessati, e in particolare alle province, senza provvista dei mezzi finanziari per farvi fronte. D'altra parte, la collocazione dell'onere relativo nell'esercizio in corso al momento del pagamento dei contributi arretrati comporterebbe una intollerabile compressione dell'autonomia finanziaria dell'ente, il quale dovrebbe destinare a tale scopo i trasferimenti di fondi previsti dalle disposizioni legislative che assicurano il pareggio degli enti locali, onde sarebbero violati anche gli artt. 5, 119 e 128 Cost. e in pari tempo il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97.

Si lamenta infine la violazione degli artt. 3 e 53 Cost. perché l'imposizione dell'obbligo contributivo in esame si risolve in un prelievo di ricchezza senza verificare, per la parte afferente agli esercizi finanziari anteriori all'entrata in vigore del decreto n. 463 del 1983, se sia ancora sussistente la capacità contributiva del soggetto onerato, del che si può dubitare atteso che i detti esercizi si sono chiusi in pareggio.

2. - Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti l'Amministrazione provinciale di Milano e l'I.N.P.S. concludendo l'una per una dichiarazione di fondatezza, l'altro di infondatezza della questione.

L'Amministrazione provinciale sviluppa le argomentazioni della Corte remittente insistendo soprattutto sulla tesi dell'assoluta novità dell'obbligo contributivo previsto dal decreto del 1983 a carico degli enti pubblici con efficacia retroattiva al 1972, salva la prescrizione quinquennale. Tale obbligo non avrebbe potuto desumersi nemmeno dalla legge 3 giugno 1975, n. 160, come ha riconosciuto, proprio nei confronti dell'Amministrazione ricorrente, il Tribunale di Milano con sentenza 2 giugno-20 luglio 1977, passata in giudicato, sul riflesso che questa legge ha assoggettato a contribuzione previdenziale e assistenziale solo l'indennità integrativa speciale corrisposta al personale dello Stato.

In una memoria di replica, depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione, la ricorrente sottolinea come le leggi del 1965, del 1972 e del 1980, che hanno assoggettato a contribuzione l'indennità integrativa speciale corrisposta ai dipendenti degli enti locali, si siano sempre riferite esclusivamente alla contribuzione previdenziale e non a quella assistenziale.

L'I.N.P.S. richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, fuori dalla materia penale, il principio di irretroattività della legge non assurge a precetto costituzionale, nonché le pronunce che hanno escluso la specifica connotazione tributaria dell'attuale disciplina dei contributi per il servizio sanitario. In materia previdenziale e assistenziale il legislatore è intervenuto più volte con norme dotate di efficacia retroattiva.

3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Alla stregua del parere del Consiglio di Stato n. 910/3 del 16 febbraio 1976 l'Avvocatura sostiene che l'indennità integrativa speciale corrisposta ai dipendenti pubblici non statali deve intendersi assoggettata alla contribuzione per l'assistenza sanitaria quanto meno dal 1° gennaio 1974 in base all'art. 22 della legge 3 giugno 1975, n. 160. Poiché questa interpretazione dei giudici amministrativi non ha trovato concorde la giurisprudenza ordinaria, il legislatore ha ritenuto opportuno eliminare l'incertezza con la disposizione impugnata, la quale pertanto è una norma di interpretazione autentica in senso proprio.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art. 24 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in cui dispone, con efficacia retroattiva, che l'inclusione dell'indennità integrativa speciale nella base di calcolo della contribuzione per l'assistenza sanitaria, prevista dall'art. 4, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1053, è da intendersi riferita a tutti i pubblici dipendenti ai quali sia corrisposta la detta indennità.

Secondo il giudice remittente la norma impugnata non ha natura di interpretazione autentica, bensì introduce un nuovo onere contributivo a carico degli enti pubblici locali, in particolare delle province. In quanto munita di efficacia retroattiva, essa violerebbe l'art. 81, quarto comma, Cost. perché non indica i mezzi con cui l'ente pubblico possa far fronte alla maggiore spesa afferente a esercizi finanziari passati, già chiusi in pareggio; gli artt. 5, 119 e 128 Cost. perché comprime l'autonomia dell'ente costringendolo a collocare le somme occorrenti per i contributi arretrati nell'esercizio finanziario in corso al momento del pagamento, distraendole da altre destinazioni, con conseguente violazione anche del principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost.; infine gli artt. 3 e 53 Cost. perché l'onere in questione, per la parte relativa agli esercizi finanziari del periodo 1978-1983, si tradurrebbe in un prelievo di ricchezza senza verificare la sussistenza della capacità contributiva del soggetto onerato.

2. - La questione non è fondata.

Conviene preliminarmente ricapitolare la complessa sequenza delle leggi intervenute sul punto in controversia.

L'art. 1 della legge 27 maggio 1959, n. 324, modificato dalla legge 3 marzo 1960, n. 185, attribuì ai dipendenti dello Stato una indennità integrativa speciale avente la funzione di adeguare automaticamente alle variazioni del costo della vita la fascia dello stipendio corrispondente al minimo vitale, determinato in L. 40.000. In considerazione di questa funzione l'indennità era esentata da qualsiasi ritenuta, comprese quelle erariali. L'art. 16 della legge n. 324 del 1959, modificato e integrato dall'art. 7 della legge n. 185 del 1960, autorizzò gli enti locali e gli enti e istituti di diritto pubblico, subordinatamente alle disponibilità dei rispettivi bilanci, a "estendere" al proprio personale tale "miglioramento".

Per i dipendenti degli enti locali l'indennità integrativa speciale si trasformò parzialmente in un elemento integrante della retribuzione già nel 1965 e totalmente nel 1972: la legge 26 luglio 1965, n. 965, incluse l'indennità, fino a un massimo di L. 50.000 (limite soppresso dall'art. 19 del d.-l. 30 giugno 1972, n. 267, convertito con modificazioni dalla legge n. 485 del 1972) tra gli emolumenti costitutivi della retribuzione annua contributiva degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (C.P.D.E.L.), e correlativamente tra gli emolumenti costitutivi della base di calcolo della pensione (artt. 2 e 3, primo comma, lett. a).

Sopravvenuta la legge 30 aprile 1969, n. 153, il cui art. 12 non menziona l'indennità integrativa speciale nell'elenco tassativo delle somme escluse dalla retribuzione imponibile per il computo dei contributi di previdenza e di assistenza, il Consiglio di Stato, con parere del 20 gennaio 1970, n. 1582/67/69, argomentò dalla disposizione citata "un principio di ordine generale, secondo cui l'indennità integrativa speciale doveva ritenersi avere non più la esclusiva finalità di adeguare la retribuzione base alle variazioni del costo della vita, bensì anche quella di operare un correlativo adeguamento delle prestazioni previdenziali e assistenziali, con conseguente suo pieno assoggettamento ai contributi relativi alle prestazioni stesse, alla pari di qualsiasi altro elemento della normale retribuzione".

Questa interpretazione fu però disattesa implicitamente dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1053, ed esplicitamente dalla legge 3 giugno 1975, n. 160. La prima (art. 4) ha incluso nella base di computo del contributo dovuto per l'assistenza sanitaria all'Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali (E.N.P.A.S.) anche l'indennità integrativa speciale a decorrere dal 1° gennaio 1973, lasciando così intendere che precedentemente l'aliquota contributiva non doveva essere applicata su tale indennità. La seconda (art. 22) ha disposto in generale, sempre per il personale dello Stato (e salva, s'intende, la determinazione già assunta con la legge del 1971 in ordine al contributo per l'assistenza sanitaria), che l'indennità integrativa speciale è da considerare tra gli elementi della retribuzione previsti dall'art. 12 della legge n. 153 del 1969 per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale, a decorrere dal 1° gennaio 1974.

In forza di quest'ultima legge, sebbene formalmente dettata per i soli dipendenti statali, il Consiglio di Stato, con un nuovo parere del 16 febbraio 1976, n. 910/3, ha ritenuto soggetta a contribuzione previdenziale e assistenziale anche l'indennità integrativa speciale corrisposta ai dipendenti degli enti locali, sul riflesso che questi enti "corrispondono l'indennità in parola sulla base di apposite deliberazioni con le quali la normativa statale del settore è stata recepita nei rispettivi ordinamenti". Tale valutazione fu parzialmente confermata dall'art. 3 della legge 7 luglio 1980, n. 299, con riguardo ai contributi dovuti all'I.N.A.D.E.L. - Gestione previdenziale (mentre la legge precedente n. 965 del 1965 includeva l'indennità integrativa speciale solo nella base di calcolo dei contributi dovuti alla C.P.D.E.L.).

Finalmente è intervenuto il d.-l. n. 463 del 1983, il cui art. 24, oggetto del presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale, ha precisato che per tutti i dipendenti pubblici l'indennità integrativa speciale deve intendersi assoggettata a contribuzione per l'assistenza sanitaria già in virtù dell'art. 4 della legge n. 1053 del 1971, con decorrenza del 1° gennaio 1973.

3. - Non si può dire, pertanto, come sembra sostenere l'Amministrazione provinciale ricorrente, che nella legislazione vigente fino al 1983 fosse esclusa pacificamente l'esistenza dell'obbligo contributivo previsto dalla norma denunciata a carico degli enti locali. L'obbligo fu ritenuto sussistente dal Consiglio di Stato, nel parere sopra richiamato, almeno a decorrere dal 1° gennaio 1974, e nel medesimo senso si è pronunciata, in sede giurisdizionale, la quarta Sezione con la sentenza 4 febbraio 1986, n. 84, alla quale si è conformata la decisione 10 novembre 1986, n. 420, del T.A.R. della Campania passata in giudicato. Alla giurisprudenza del Consiglio di Stato si sono adeguate altre amministrazioni provinciali, tra cui la Provincia autonoma di Trento, come si apprende dalla prima delle decisioni ora ricordate, che ha respinto un ricorso contro la delibera della giunta provinciale di procedere al recupero delle quote dei contributi arretrati a carico dei dipendenti. Del resto, a suffragare questa interpretazione concorre anche il rilievo dell'irrazionalità pratica dell'argomento contrario, non essendo dato di scorgere una ragione plausibile per cui l'indennità integrativa speciale erogata ai dipendenti degli enti locali, a differenza di quella corrisposta ai dipendenti dello Stato (e della analoga indennità di contingenza percepita dai lavoratori privati), meriterebbe di essere esentata dal contributo per il servizio sanitario.

Alla lettera dell'art. 22 della legge n. 160 del 1975 si è, invece, strettamente attenuto il Tribunale di Milano nella sentenza 2 giugno-20 luglio 1977, con cui, accogliendo la domanda della Provincia di Milano, ha dichiarato non essere dovuti i contributi assistenziali sull'indennità integrativa speciale corrisposta ai dipendenti per gli anni 1972-1976. Ma, fuori dai limiti di efficacia del giudicato, tale accertamento giurisdizionale non poteva costituire un criterio sicuro di affidamento nella legittimità del rifiuto di pagamento dei contributi per gli anni successivi, tanto più che il motivo addotto dal Tribunale per disattendere l'interpretazione del Consiglio di Stato - divieto di estensione per analogia delle norme impositive di obblighi contributivi, in quanto norme di natura penale - è ictu oculi non pertinente. L'assunto espresso nel più volte ricordato parere non è fondato sull'analogia, ma sul rinvio recettizio alla normativa statale che, secondo il Consiglio di Stato, è contenuto nelle deliberazioni con cui gli enti locali, ai sensi dell'art. 16 della legge n. 324 del 1959, hanno esteso l'indennità integrativa speciale ai propri dipendenti.

Occorrono, peraltro, due precisazioni. In primo luogo non si tratta propriamente di recezione della normativa statale nell'ordinamento dell'ente per volontà del medesimo, bensì di rinvio formale collegato alla deliberazione dell'ente, come effetto legale, dal citato art. 16. La facoltà di "estendere" ai propri dipendenti il "miglioramento" costituito dall'indennità in parola è stata accordata agli enti pubblici col limite della conformità alla disciplina statale. Ne dà conferma l'art. 2 della legge n. 965 del 1965, il quale, con formula chiaramente improntata al concetto di rinvio formale, precisa che la concessione dell'indennità al personale degli enti locali comporta "l'estensione delle norme contenute nell'art. 1 della legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni". In secondo luogo, stabilito che l'indennità integrativa speciale corrisposta ai dipendenti degli enti locali è disciplinata per relationem alla normativa statale, consegue che l'assoggettamento a contribuzione per l'assistenza sanitaria deriva non dall'art. 22 della legge n. 160 del 1975, ma già dall'art. 4, terzo comma, della legge n. 1053 del 1971. È questa, infatti, la norma che, in deroga all'art. 1, terzo comma, lett. c) della legge istitutiva del 1959, ha incluso l'indennità integrativa speciale nella base di calcolo del contributo dovuto per l'assistenza sanitaria.

4. - Il secondo rilievo dimostra la correttezza dell'art. 24 del d.-l. n. 463 del 1983, il quale è intervenuto con una norma di interpretazione autentica riferita al terzo comma dell'art. 4 della legge 6 dicembre 1971, n. 1053, chiarendolo nel senso più volte rammentato. L'intervento legislativo è giustificato dalla precedente situazione di incertezza interpretativa e la sua natura di legge di interpretazione si argomenta, più che dalla frase del primo comma "è da intendersi", dal secondo comma, che riduce eccezionalmente a cinque anni il termine di prescrizione dei contributi dovuti per gli esercizi finanziari anteriori al 12 settembre 1983 "ai soli fini della eventuale regolarizzazione delle posizioni contributive pregresse". Se la norma del primo comma non avesse natura interpretativa di una disposizione preesistente, tale che gli interessati avrebbero dovuto osservarla già da prima, ma innovasse introducendo, con efficacia retroattiva, un nuovo contributo assistenziale a carico degli enti pubblici e dei loro dipendenti, non si potrebbe evidentemente parlare di posizioni contributive pregresse da regolarizzare nei limiti della prescrizione quinquennale. Rispetto a un'obbligazione contributiva nuova, pur se rapportata anche a mensilità o annualità retributive pregresse, non possono configurarsi fatti di inadempimento anteriori al momento della sua costituzione.

5. - Posto che l'obbligo contributivo in questione ripete la sua fonte dall'art. 4 della legge n. 1053 del 1971, il cui significato normativo è acclarato dalla norma denunciata in via di interpretazione autentica, cadono tutte le censure di costituzionalità prospettate dal giudice remittente.

Non è violato l'art. 81, quarto comma, Cost. perché l'art. 24 del d.-l. n. 463 del 1983 non importa nuove o maggiori spese, ma piuttosto mette fine a uno stato di incertezza soggettiva circa l'esistenza dell'obbligo di contribuzione di cui è causa. Non sono violati l'autonomia dell'ente, garantita dagli artt. 5, 119 e 128 Cost., né il principio di buon andamento dell'amministrazione tutelato dall'art. 97, perché la necessità di iscrivere la spesa occorrente per il pagamento dei contributi arretrati nell'esercizio finanziario in corso, destinando a tal fine i trasferimenti di fondi previsti dalle leggi che assicurano il pareggio dei bilanci degli enti locali, deriva da una decisione dell'ente assunta in base a una sua interpretazione dell'art. 4 della legge n. 1053 del 1971 poi rivelatasi non corretta; né importa, per le ragioni già dette, che tale interpretazione fosse avallata da una sentenza di primo grado passata in giudicato.

In nessun caso, infine, potrebbero dirsi violati gli artt. 3 e 53 Cost., sia perché i contributi previdenziali e assistenziali sono estranei alla materia tributaria (cfr. sent. n. 167 del 1986 e ord. n. 752 del 1988), sia perché la capacità contributiva dell'ente è assicurata dalle leggi già ricordate che prevedono trasferimenti di fondi in favore degli enti locali ai fini del pareggio dei loro bilanci.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 5, 53, 81, quarto comma, 97, 119 e 128 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 2 maggio 1991.